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venerdì 29 luglio 2016

Non cercare gatti neri in una stanza buia

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Una simpatica e irriverente storiella restituisce il dialogo tra un saggio maestro spirituale e il suo giovane allievo, bramante di sapere...

"Maestro," chiede il giovane colmo di desiderio: "che cos'è la scienza?".
"La scienza," sorride il maestro "è cercare un gatto nero in una stanza buia.".
"Capisco, e la filosofia?" chiede ancora il giovane.
"La filosofia è chiedersi perché cerchiamo un gatto nero in una stanza buia.".
"Ma allora la religione, che cosa sarebbe la religione?" continua l'allievo, sempre più curioso.
"Anche la religione cerca il suo gatto nero, ma il gatto non c'è.".
"E mi dica maestro, cos'è la psicologia?".
"La psicologia? La psicologia," sorride il maestro, "è cercare un gatto nero in una stanza buia dove il gatto non c'è... ma si finisce per trovarlo lo stesso.".

Le riflessioni cui apre questa storiella sono molteplici e non tutte dissacranti per quel fondamentale sapere che è la psicologia.

Inventarsi un gatto che non c'è, risponde infatti al preciso itinerario di ricerca di una disciplina implicata nell'indagine di quel complicatissimo e misterioso oggetto che è la mente umana. Un mistero che, per essere scalfito, ha avuto (e avrà) bisogno di metafore, concettualizzazioni, ipotesi, tentativi più o meno raffinati e più o meni convincenti di descrivere i nostri comportamenti -si pensi, ad esempio, a quell'oggetto universalmente riconosciuto che è l'inconscio. oggetto che, tuttavia (nonostante gli innumerevoli tentativi), non ha ancora una reale collocazione scientifica -uno dei tanti gatti neri che non si sa se ci siano, ma cui tutti non manchiamo costantemente di riferirci per spiegare alcune cose che ci accadono.

Ci sia consentito, allora, in questo nuovo articolo di accompagnare ancora (vedi articolo precedente) i lettori in una sorta di primo approccio introduttivo al concetto e alle modalità di soccorso genitoriale che pervadono il nostro operare.

Dunque; noi non cerchiamo gatti neri. Crediamo sia invece importante un approccio pragmatico, che accolga il problema che la famiglia avverte e si dispone a risolverlo nel modo più efficace, duraturo e veloce.

Ci riferiamo in particolare alla dimensione pedagogica che i nostri percorsi curativi prediligono rispetto ad orientamenti di stampo più psico-orientato che non solo non appartengono al nostro operare ma che, in senso più generale, non possono essere, a nostro avviso, totalizzanti, come una certa logica contemporanea sembra, invece, prevedere e, spesso, ahinoi, imporre.

Il premio Nobel Saul Bellow, in uno dei suoi ultimi romanzi prima di morire, bene descrive, a nostro avviso, la condizione fortemente psico-centrica in cui sembra precipitata la nostra epoca: “Ogni cosa che vediamo la traduciamo nelle lingua di Freud,” dice Bellow, e poi si chiede: “Ora, cosa stiamo immiserendo: il suo vocabolario o la nostra capacità di osservazione?”. 

Il nostro presupposto è che sia l'opportunità di leggere il mondo e di trovare efficaci contromisure ai suoi possibili malesseri che sta avendo la peggio. 

Un mondo che, pur avendo a disposizione una pressoché infinita pluralità di sguardi, di saperi e di possibili letture che da questi ne discendono, sembra invece accontentarsi di ottiche sempre più uniformate sotto il grande cappello del metodo scientifico entro le cui grinfie hanno finito per precipitare buona parte degli orientamenti psicologici. 

Pur essendo consapevoli dei differenti, complessi e spesso non sovrapponibili approcci che afferiscono al grande universo dell'indagine psichica, quello che ci porta a riflettere e a prendere una certa critica distanza da queste letture eccessivamente psico-centrate, è la loro presenza invasiva, tanto che non sembra esserci più alcun accadimento, fenomenologia o ambito della vita sociale che non veda la presenza di qualche psico-esperto che, dalla sua prospettiva, ne fa l'esegesi; mentre sempre più esclusi appaiono tutti gli altri saperi, e tanto più quanto questi si distanziano -appunto- da un certo imperante metodo scientifico. 

Come già denunciava Umberto Galimberti in un interessante articolo del 2005 su Repubblica, in America l'80% della popolazione usufruisce di cure psicoterapeutiche (contro il 14% degli anni '60). Il sociologo James L. Nolan, nel suo libro "The Therapeutic State", ci informa che: "Negli Stati Uniti ci sono più psicoterapeuti che librai, pompieri, postini, e addirittura due volte più che dentisti e farmacisti. Gli psicologi sono battuti numericamente solo dai poliziotti e dagli avvcati." ("Va via psicologia" -26/09/2005).

Secondo Galimberti ci troviamo di fronte a una vera e propria "etica terapeutica" che promuove non tanto l'autoreallzzazione e l'autonomia degli individui, quanto la loro autolimitazione, generando, di fatto, una trasversale e mai come oggi esasperata fragilità: uomini e donne segnati da una vulnerabilità che mai si era vista prima su cosi larga scala.

In contrapposizione a questa globalizzante psicologizzazione, pur non ignorandone gli importanti contributi teorici e metodologici, crediamo sia fondamentale accompagnare le persone che si rivolgano al nostro studio, alla concreta risoluzione dei loro disagi e delle loro problematiche, soluzione che raramente si trova esclusivamente nel chiuso della loro soggettività.

L'approccio pedagogico che proponiamo, invece, non indaga il "fatto psicologico" ma agisce sul "fatto educativo", ossia sulla distanza che intercorre tra un atteggiamento che nel soggetto genera malessere e il processo di conoscenza, educazione, cambiamento, necessario ad apprendere e mettere in pratica un nuovo atteggiamento capace di generare benessere.

Si tratta di un approccio che osserva e favorisce lo sviluppo globale della persona: intesa come corpo fisico, intellettuale, morale, spirituale, attraverso lo sviluppo delle sue capacità relazionali, comunicative, strategiche, interpersonali, coinvolgendo l'universo affettivo che lo conosce e lo educa e utilizzando le sue risorse giacenti affinché ogni eventuale ostacolo si trasformi a sua volta in una risorsa.

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